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Day 1 :  La valle del Savio

Forlì – Bagno di Romagna (FC)

Bici: 89 km

Salita:835m

mercoledì

Day1 Forlì - Bagno di Romagna

Sveglia presto, pronti via. Si parte per l’unica tappa pianificata: caschetto in testa, borse sul portapacchi, scorte alimentari a manese (within hand reach), cellulare a vista con la traccia caricata. Esco piano da Forlì, passando religiosamente per l’Enav Academy, la scuola per controllori di voli che ho frequentato per circa due anni. Sono fuori da qualsiasi ciclovia, quindi percorro la via Emilia direzione Cesena finché questa è affiancata da una pista ciclabile e scopro che, oltre al tratto “urbano” di Forlì, come mi ricordavo già dal 2008, c’è una ciclabile nuova che collega Forlì con Forlimpopoli. Più avanti il traffico a motore diventa particolarmente fastidioso e devio per strade secondarie, affidandomi all'algoritmo di Naviki che evita le strade trafficate, ma considera pedalabile tutto il resto, incluso strade chiuse per lavori, sentieri sterrati e addirittura scale, campi di grano o vie sbarrate da cancelli. In meno di 10 km le ho incontrate tutte.

 

La stessa APP mi aveva già fatto qualche scherzo lungo l’Alpe Adria, percorsa esattamente un anno prima con altri 3 compagni di viaggio. Il percorso era stato  preparato da Sara e la traccia da lei elaborata su Naviki non coincideva col percorso ufficiale (almeno nel tratto italiano), per cui il primo giorno ad ogni incrocio se i cartelli segnavano destra il cellulare ci diceva di svoltare a sinistra. Ignorando le indicazioni della capofila, e con questo assolutamente non sto scrivendo e nemmeno pensando che mettere come guida l’unica donna del gruppo sia stato un azzardo, dicevo quando ignoravamo le  indicazioni del cellulare andavamo spediti e giusti, quando le seguivamo ci siamo ritrovati nell’ordine: in un campo di girasoli tra l’erba alta, ad attraversare un cimitero e su una statale fuori carreggiata, proprio oltre il guardrail in mezzo alle erbacce. Il tutto documentato da foto.

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In Romagna mi è successo lo stesso (Sara, vedi non è colpa tua): qualche vicolo cieco ed un po’ di saliscendi in mezzo alla campagna. Alla fine di una di queste discese nella natura, devo ammettere abbastanza piacevole, passo affianco ad una villetta dove un signore cortese mi fa “Ma lei è il poshtino?”.  E’ evidente che non lo sono, nonostante le borse gialle laterali, quindi rispondo “No”. “Zovanootto, lei lo sa che di qui non zi può passhare mica con la bizicletta?” “Come scusi?” replico incredulo, ma magari non vuole fare polemica, ma avvisarmi di qualche pericolo “Questa qui è una proprietà privata, lo sa? Non zi può shtare qui.”  “E sticazzi?” avrei dovuto rispondere, ma dico di aver sbagliato strada chiedendo indicazioni per uscire. Con poche pedalate e qualche seccia (curse) lanciata al villano, inteso come proprietario della villa, raggiungo la statale e non ho più bisogno del navigatore.

Altra vacanza, sempre quella dell’Adrianubio, situazione analoga, eravamo spersi nel nulla della Oberösterreich ed a corto di acqua. Non c’era nessuna fontanella in giro, neanche nel cimitero della contrada, quando ad un tratto incontriamo una frau di mezz’età che prendeva il sole in bikini nel suo giardino. Le chiediamo di riempire le borracce e lei ci risponde “water or beer?”. Giustamente se io napoletano in quella situazione avrei offerto un caffè, lei crucca ci ha offerto una birra. E poi dicono che la gente del Nord (quello vero) è fredda ed inospitale e gli Italiani sono brava gente.

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Superato questo incontro, quindi, intercetto l’itinerario ufficiale della ciclovia Tiberina. Si tratta di una vecchia strada statale utilizzata da pochissime auto, perché tutto il traffico sia a lunga percorrenza che locale dai paesini della valle del Savio verso Cesena sfreccia sulla superstrada E45 Orte-Ravenna. Non pedalo su una ciclabile separata, ma trovo ugualmente piacevole e sicuro risalire gli Appennini su una strada con parecchi zig-zag, ma pendenze tutto sommato basse. Mi fermo per il secondo caffè in un bar “affolato” dove, oltre a me solo la cameriera è ancora in età lavorativa, persino secondo i parametri della Fornero. Tra un centro abitato (si fa per dire) e l’altro ci sono un 5-6 km di nulla, ogni volta che ne attraverso uno un dubbio amletico “cerco dove magiare?” “no, meglio tirare avanti e riposarsi di più a controra che adesso”. Resto e resisto in sella fino a quando, nel massimo della stanchezza, mi compare davanti un bar sgangherato; inchiodo, parcheggio la bici e mi butto dentro. Mi va  bene perché, nonostante l’aspetto esterno trascurato mi fanno accomodare all’interno in una graziosa sala ristorante con un'enorme vetrata vista vallata: tante cime verdi, una accanto all’altra, qualche casa sparsa e la E45, con la sua coda di auto e Tir che li taglia in due longitudinalmente.

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Fisso la strada che, quando abitavo a Forlì, percorrevo più o meno una volta al mese per tornare in Campania. Con alcuni colleghi di corso riempivamo una macchina ed il venerdì pomeriggio, appena terminavano le lezioni, schizzavamo via direzione Sud per passare un weekend a casa. Ora sto facendo lo stesso percorso lentamente, attraverso tutti i nomi che erano solo una scritta su un cartello, e che si facevano conoscere solo per imprevisti o una deviazione o una multa che arrivava a casa.

 Sembra un dettaglio fesso, di poco conto, ma per tutto il viaggio ho sempre tenuto un occhio alla E45, pensando che stavo facendo in 4 giorni lo stesso percorso che da pendolare facevo in 5 ore.


Sono a Sarsina (FC), borgo dell’Appennino Tosco-Romagnolo, noto fin dall'antichità (come tutti voi certamente sapete) per aver dato i natali al commediografo latino Tito Maccio Plauto (ecco questa cosa io l’ho scoperta perché lungo la strada ho visto dei cartelloni del Festival Plautino con tanto di maschera come logo. Ma conosco davvero qualcuno, e ve lo dico così ve ne tenete alla larga e non vi fate mischiare la secchionaggine, che quando ho scritto su whatsapp “mi sono fermato a Sarsina: la conosci?”, ha risposto “E’ la città di Plauto” senza cercare su wikipedia, almeno così ha detto. Dato che la sosta in trattoria (dove la piada servita al posto del pane mi ricorda di essere ancora in Romagna) è stata sufficientemente lunga e mancano solo 20km, decido di fare un giro per il paesino ed andare a vedere questa Arena Plautina, mi hanno incuriosito un po’ tutti questi cartelli. La cerco su google, non si tratta di un vecchio teatro romano, come immaginavo, ma di un teatro costruito degli anni ’90, utilizzato per lo più per concerti, sia di musica classica che leggera. Devo allungare di un paio di km, con una salita che sembra tosta e con il rischio di imballarmi le gambe, ma ne varrà davvero la pena. Le indicazioni mi portano alla frazione di Calbano, una decina di case su una punta della collinetta, collegata da vicoletti e scalinate con una sottospecie di piazza vista vallata.

Calbano - Sarsina
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Tutto molto bello, ma questa arena? L’unica anima viva in giro è una colf che stende i panni in un vicoletto e mi indica l’ingresso “Però arena chiusa quest’ora, forse aperto perché prove di spettacolo”. E invece cancello chiuso e rete di recinzione con alberi che lasciano soltanto intravedere quello che c’è dentro, ovvero una gradinata fatta di sediolini appoggiati sul fianco della collinetta, chiusa in alto da una copertura in acciaio tipo quella degli stadi ed  aperta sui lati. 

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Devo trovare un modo per vederlo meglio. Chiedo anche ad un ciclista “sportivo” di passaggio “Ah ci passo spesso, ma il teatro da dentro non l’ho mai visto”. Va a finire che lui del posto chiede informazioni a me forestiero. Non mi arrendo, giro tutto intorno alla recinzione, supero il parcheggio auto ed arrivo ad un altro cancello, stavolta aperto, che dà direttamente sul palcoscenico. Una botta di culo perché effettivamente ci devono essere dei tecnici a montare la scena: vedo un furgone parcheggiato e degli strumenti sparsi per terra, ma nessun cristiano (nobody) in giro. Magari sono a prendere un caffè in paese. Meglio per me, così posso guardarmi intorno: la scena è delimitata ai lati da due pilastri che reggono la copertura ed è aperta alle spalle, in modo che si possa vedere tutta la vallata. Mi siedo in platea, faccio due foto e mi godo la vista, tutto molto suggestivo, una delle cartoline più belle di questa vacanza.

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E pensare che l’ho scoperto  per caso, o meglio perchè la fame mi ha fatto fermare qui, in un borgo sconosciuto di una delle zone più turisticamente anonime che si possano immaginare. Non è mare e non è montagna, non è vicina a nessuna grossa città, non sembra né Nord, né Sud e, ad essere precisi, non appartiene neanche al Centro, perché è provincia di Forlì-Cesena. Ed allora chiamiamola Italia di Mezzo, omaggiando Tolkien, perché nel mezzo tra Tirreno ed Adriatico in una valle anonima dove si vedono solo alberi ed una superstrada, si nasconde una perla come quella descritta, che da sola vale la strada fatta pedalando per arrivare a scoprirla.

In tardo pomeriggio arrivo a Bagno di Romagna, soddisfatto della mia pianificazione, perché arrivo stanco, ma non stremato. Sicuramente non ce l’avrei fatta ad andare più avanti e scollinare. Il paese, come suggerisce il nome, è una località termale, composta da due strade e due file di hotel, una piazza, una chiesa e le terme, ma almeno c’è un discreto turismo di vecchiarielli e famigliole a dare un minimo di vita. Accanto all’hotel visito il “Sentiero degli Gnomi”, in pratica qui hanno avuto la geniale idea di piazzare delle casette e dei pupazzi lungo un sentiero panoramico, in modo da invogliare anche i bambini più pigri a camminare nel boschetto. “Proprio il genere di cavolate che piacerebbero ai miei ragazzi” penso con una punta di nostalgia.

Faccio una passeggiata nella strada principale del paesino, o meglio nell’unica strada del paese che attraversa la piazza con la chiesa. A lato della piazza c’è un ristorantino che vicino al tabellone pubblicitario ha un tandem parcheggiato, che mi obbliga moralmente a sceglierlo per la cena . La specialità della casa sono bruschette con i porcini fritti che mi giurano sono raccolti freschissimi nelle montagne lì attorno. E poi c’è l’aggettivo fritto che rende gradevole qualsiasi pietanza, quindi li provo e li promuovo a pieni voti.

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I porcini, tuttavia, mi sembra che crescano un po’ in tutta Italia e non so quanto questa ricetta sia esclusiva romagnola, inoltre lungo la strada non ho visto nessun fungo, ma parecchie vigne, quindi la “ricetta” di percorso sarà dedicata al vino romagnolo per antonomasia.

Bicchiere di vino rosso

Sangiovese.

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E' il Santo a cui i Romagnoli sono maggiormente devoti.

Qui in Romagna viene coltivato in grandi quantità, confezionato in brick di cartone e venduto a pochi euro, con spirito ecumenico, per far sì che tutti, ricchi e poveri, possano ricevere le grazie di questo santo.

Particolarmente indicato per recuperare le energie dopo una lunga uscita in bici. Pantani stesso rivolgeva le sue preghiere a San Giovese dopo ogni gara ed era questo il segreto delle sue vittorie. Almeno così mi ha raccontato un discepolo del Santo che ho incontrato una sera, mentre predicava da solo fuori un'osteria.

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