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Day 2: Le sorgenti del Tevere 

Bagno di Romagna (FC) - Città di Castello (PG)

Bici: 87 km

Salita: 1230m

giovedì

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Prima del viaggio l’idea era questa: parto da Bagno di Romagna, affronto a gambe fresche la salita verso Verghereto ed il Monte Fumaiolo, visito le sorgenti del Tevere, poi mi lancio in discesa seguendo il fiume (ovvero questa traccia) e cerco di arrivare più avanti che me la sento, in modo da risparmiare chilometri per il giorno successivo in cui puntare ad arrivare fino ad Assisi. In caso di pioggia o stanchezza, a Verghereto, posso proseguire diritto sulla statale Tiberina, rinunciando al monte Fumaiolo che, però, rappresenta un po’ l’obiettivo principale di questo giro, sia sportivo che geografico. Insomma, non ho seguito i miei compagni di viaggio Andrej e Vlad sulle Alpi, ma almeno questa “collinetta” la devo scalare.

mappa Fumaiolo.jpg

Mi concentro mentalmente, quindi, sul Fumaiolo e la sera prima cerco dei dettagli ulteriori sulla strada. Su un blog di bici suggeriscono due strade, una via Balze, l’altra via Riofreddo, nessuna delle due è quella che mi da Naviki. Visti i precedenti del navigatore chiedo informazioni al proprietario dell’albergo che mi fa: “La strada più corta sale su per Verghereto, riscende un poco a Monte Coronaro, poi Balze e poi su al Fumaiolo ed è quella che faccio sempre in macchina. L’altra deve tornare indietro giù a S.Pietro e poi salire per Alfero e Riofreddo: è più lunga, ma più bella, perché l’altra è più brulla. Sennò faccia l’anello sale da un lato e scende dall’altro” “Ma io, poi, devo continuare verso Sansepolcro”

“Ed allora vada per Verghereto sulla vecchia statale, l’hanno chiusa per una frana, ma solo alle auto, in bici ci può passare”. Un’ultima occhiata alle previsioni meteo: di mattina è bello, nel pomeriggio si prevedono temporali in cima alle montagne e pioggia debole a valle verso Sud. Devo partire presto in modo da essere già sceso quando inizierà a piovere, quindi alle 7.45, appena apre la colazione, sono già nella hall prima di tutti i vecchiarielli delle terme.

cartello frana.jpg

Salgo lemme lemme sulla statale, al primo svincolo della E45 c’è un bel cartello che segnala la frana, lo ignoro e vado avanti fidandomi delle parole dell’albergatore, e penso che è meglio così perché non troverà traffico. Incontro altri ciclisti in bici da corsa che mi superano, il che mi rassicura ulteriormente. Un po’ meno quando vedo gli stessi gruppetti che tornano indietro “La strada è chiusa!” “Ma neanche in bici si passa?” “No” “E a piedi?” “Ah? Boh, forse“ sono le ultime parole prima di allontanarsi in discesa. Vado avanti ed arrivo alla frana, mi aspettavo che la strada si restringesse lasciando libera una mezza corsia ed invece c’è un grosso cumulo di terreno caduto sulla strada che la copre per tutta la lunghezza. Sarà alto un 4-5 m e non si vede dove finisce. In ogni caso non c’è un cm di asfalto libero, per cui sono costretto a scendere dalla bici. E mò?

Con la bici poggiata sul fianco della montagna rifletto sul da farsi. Ho fatto 10km di salita, dai 500 m slm della partenza dovrei essere arrivato sui 700m. Se raggiungo i 900 di Verghereto, ho finito, nel senso che, qualsiasi cosa accada posso scegliere di andare in discesa verso l’Umbria. Ma bisogna scalare la frana. L’alternativa safe sarebbe tornare indietro a fare l’altra strada da Alefro, ma significa: allungare di circa 20-30km, scendere e risalire (quindi circa 550m di dislivello in più) e non avere più il piano B, perché se vado dall’altra parte non posso più fare il valico di Verghereto (o almeno non direttamente) e quindi un qualsiasi imprevisto mi costringerebbe ad una seconda notte a Bagno di Romagna o giù di lì. 

E allora provo a proseguire, appoggio la bici alla scarpata e salgo a piedi in perlustrazione. Le scarpe affondano un po’ nel fango, ma riesco a camminare, arrivo su e vedo che ci sono soltanto una ventina di metri da fare a piedi, poi la strada riprende. Memorizzo la via migliore, torno indietro, sollevo Nikita, salgo e ridiscendo di là. E vai, mi sono un po’ sporcato, ma si può continuare. Risalgo in sella, pedalo per un paio di curve e poi trovo davanti una rete con cancello che mi sbarra la strada. Dall’altro lato c’è un cartello “Accesso vietato”, Nessuno in giro, così tolgo le borse, sollevo la bici al di là del guard-rail, passo anche le borse dall’altro lato e scavalco. 

strada chiusa per frana

Gli ostacoli dovrebbero essere finiti qui. Qualche tornante e arrivo a Verghereto. Sono le 10.00, ho ancora la mattinata avanti, posso fermarmi al bar, fare due foto al paese ed anche rivedere il percorso, le indicazioni stradali mi danno per il M.te Fumaiolo, un’altra strada, diversa da quella suggeritami dall’albergatore. Chiedo al barista che mi fa “Per Balze? Mah, se vuole, ma di là l’ultimo pezzo è al 18%. Io andrei qui a sinistra, sale piano piano ed arriva al Fumaiolo”. Salite ripide, no grazie! E così mi riporto sulla strada che, inizialmente mi dava il navigatore, stavolta sembra una normale strada asfaltata. 
Per gli amanti dei dati tecnici, quello che affronto adesso è il poggio della Biancarda, 5km al 7% di media, con una rampa di un centinaio di metri al 14% all’inizio. Salgo con il mio 30/34 a passo di lumaca, ma anche così dovrei arrivare in cima prima di pranzo e soprattutto prima del temporale. Il paesaggio è piacevole, in mezzo a boschetti e pascoli, avvicinando la cima si fa un po’ più spoglio e si apre una vista molto ampia sugli Appennini. Di nuovo verde e montagne e nessun abitato, peccato che non abbia la più pallida idea di dove mi trovo e ho modo di riconoscere le cime che vedo. Segue una discesa, che mi sembra abbastanza lunga, che mi porta al versante Nord del Fumaiolo. Che poi paradossalmente affrontare la discesa non mi rallegra affatto, perché penso che ogni metro che scendo poi lo dovrò risalire; ad ogni tornante spero che sia l’ultimo e che la strana spiani o riprenda a salire. In fondo alla discesa c’è il bivio della Straniera, sul lato destro c’è un ristorante (che dà il nome al bivio) ed un po’ di cartelli turistici. Mi concedo una sosta per mangiare, riempire la borraccia e un selfie pro-social. Il tempo regge, è ben soleggiato, ma ci sono anche dei cumuli che si stanno alzando da qualche parte, ma ormai sono sul tratto conclusivo, mancano appena 3km all’8%. Questo pezzo è più vivo, sia per quanto riguarda la vegetazione, niente panorama, ma almeno pedalo all’ombra, che per quanto riguarda le persone, incontro un bel po’ di ciclisti, camminatori e roulotte accampate a bordo strada, fino a scorgere il cartello “Monte Fumaiolo, 1400 m slm”. Ce l’ho fatta, non sarà una performance di cui vantarsi su Strava, ma lo è per me, considerati i timori della vigilia ed il fatto che nei giri prima di partire, mi ero piantato su salite molto più facili. Benedico il mio rapportino che mi ha fatto arrivare in cima  e mi metto in fila con gli altri ciclisti per farsi la foto sotto il cartello. 

Mi godo l’attesa per il selfie con una piccola soddisfazione: sento sottovoce i commenti sulla mia gravel dei ciclisti accanto a me, gli stessi che in sella alle loro bici da corsa mi hanno superato in salita molto più veloci e salutandomi per incitamento, mentre io gli rispondevo scampanellando perché non avevo fiato per dire ciao. Me li immagino che pensano “mi devo attrezzare pure io così ed andarmene in giro con le borse. Chissà questo ragazzo da dove viene e quanto sta girando”. E’ l’Italia di Mezzo, non la Mitteleuropa e finora non ho incontrato nessun cicloturista e mi sento un po’ come un alieno. 
Ho raggiunto il mio obiettivo, di tappa, e posso fare il turista. Le sorgenti del Tevere, per ovvie ragioni idrogeologiche, si trovano un po’ più in basso, c’è un sentiero segnalato che ti porta. Inizialmente faccio la pazzia di portami la bici anche lì, un po’ ho paura che la rubino, un po’ voglio far vedere il fiume anche a Nikita, poi capisco che sto facendo una fesseria e la lego ad un palo.

selfie sul monte Fumaiolo

La sorgente in sé è poca roba, in pratica il Tevere non nasce in un unico punto, ma da tante fonti sparse per il monte che poi confluiscono in un unico corso d’acqua. Il punto dove mi trovo è semplicemente quello dove il Regime scrisse “qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma” sopra un monumento celebrativo. Un possente obelisco sormontato dall’aquila imperiale e la testa della Lupa sui quattro lati, il tutto in un recinto da cui sgorgano quattro gocce d’acqua. A pensarci bene questo luogo rappresenta il Fascismo proprio bene, tanta retorica e poca sostanza. Per fortuna stiamo parlando di un secolo fa e movimenti politici che indicano un fiume come sacro per far credere che un popolo sia migliore di un altro non si vedono da un Po.

Sorgente del Tevere monumento

Torno verso la strada, immaginandomi un videogiornale in bianco e nero che racconta la conquista del Fumaiolo da parte del ciclista nero, un po’ istituto Luce, un po’ Fascisti su Marte di Guzzanti. E già penso a questo diario che state leggendo adesso, a come raccontare questa bella giornata che sto vivendo, ora la strada è tutta in discesa e mi sento molto rilassato, anche se ancora non ho deciso dove mi fermerò a dormire. Anche troppo rilassato perché mi trattengo a pranzare più del dovuto nel piccolo chioschetto che c’è proprio in cima alla salita. Piccola parentesi gastronomica, siamo al confine tra Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria ed in quanto a cibo hanno idee ben confuse. Ordino una “piadina con prosciutto al forno” (sic.), che non arriva perché “la porchetta l’abbiamo finita, va bene lo stesso con la salsiccia?”. Mentre mi domando se la digestione sarà più impegnativa della scalata mi accorgo che si sta annuvolando e mi affretto a ripartire. 
Devo scendere per Balze, quindi fare al contrario il famoso strappo al 18%, rimettermi sulla ex-SS3 e andare verso Sansepolcro. Non verifico le percentuali, ma effettivamente la discesa da questo lato mi sembra molto più ripida della salita. Per me è sempre così, anche quando faccio l’identica strada, le salite mi sembrano sempre più inclinate della discese che, nonostante l’assenza di fatica mi godo sempre poco. Non mi lancio in velocità, tutto timoroso a tenere la strada, non apprezzo il panorama che qui, sul del versante meridionale è molto diverso: niente alberi e nemmeno terreno, ma tanta roccia nuda. Pareti verticali di arenaria (così mi convinco che sia). Non avessi paura della discesa e fretta di lasciare la montagna, mi fisserei sulle inclinazioni dei differenti strati di sedimentazione che si vedono tirando a indovinare composizione e movimenti. Ed invece, faccio poche foto dove la strada spiana un po’ ed in pochi minuti sono a Monte Coronaro, il primo paesino più in basso. Appena lo attraverso, sento rumore di tuoni alle mie spalle. Mi è andata bene: la giacca che ho indosso è servita solo come antivento e non come antipioggia..
 

Monte Fumaiolo

La discesa continua ancora e trovo un’altra chiusura con deviazione obbligata sulla superstrada, tra Canili di Verghereto e Valsavignone, ovvero l’ultimo comune dell’Emilia-Romagna ed il primo della Toscana. Nella foga di decentramento dell’Italia questo pezzo di strada di un paio di km è stato lasciato senza manutenzione e, quindi dal 1998, chiuso al traffico, ad eccezione di mezzi di soccorso e traffico locale. Lo attraverso senza problemi di sicurezza: la strada non sta crollando, ma il fondo stradale è sconnesso e la carreggiata si è ristretta perché il bosco piano piano sta riprendendo il suo spazio. Mi piace pedalare testimone di questa piccola rivincita della Natura, sprezzante delle forature, forte dei miei copertoni da gravel, e penso che in direzione contraria non sarei stato così spavaldo.
Arrivo a Pieve Santo Stefano (AR) ed è obbligatoria una sosta per fare il punto della situazione: sono le 15.00 ed è giunto il momento di capire dove pernottare. Davanti a me ci sono diversi scenari, continuare a seguire il Tevere, deviando su stradine secondarie, avvicinarmi verso il lago Trasimeno (un po’ lontanuccio in realtà) o collegarmi alla via di Francesco. Mi fermo a pianificare in una pasticceria che vende cantuccini e cose tipo “pane francescano” e “dolce del pellegrino”. In effetti un pezzo di questa via di Francesco vale la pena farla, ma non da qui, ma partendo più a Sud. Prenoto un albergo a Città di Castello (PG) ad una trentina di chilometri da dove sono e ci arrivo attraverso la strada più corta. Non seguo la traccia della ciclovia che ho scaricato e che segue il fiume più da vicino, ma faccio la provinciale, attraversando i paesi. Oggi ho già pedalato a sufficienza nella natura, posso tollerare un paio d’ore nella civiltà, a maggior ragione che solo nell’ultimo tratto c’è qualche auto in più. Attraverso due cittadine medioevali con le mura le porte ed i vicoletti stretti in cui pedalo piano, Sansepolcro e Città di Castello. A Sansepolcro mi fermo anche a guardare la stazione ferroviaria, chiusa ed in stato di degrado, ma la voglio fotografare e documentare. Così come la bici è il mezzo di trasporto perfetto per muoversi in città, il treno lo è per muoversi tra le città ed è un peccato che tante linee regionali in Italia siano inutilizzate, a favore di auto e bus.

Dopo oltre 8 ore ed 80km, attraverso 3 regioni e 2 bacini idrografici (Adriatico e Tirrenico), arrivo a Città di Castello, mi godo un po’ di relax e guardo la strada da fare il giorno seguente. Scopro che quello che immaginavo, un percorso lungo, ma piatto fino ad Assisi in realtà sale e scende per le colline. Ero pronto a fare 100 km su sterrato, ma in piano, non con il dislivello che leggo e confronto diversi percorsi alternativi. Potrei continuare a seguire la via del Tevere, ma penso che il pezzo più bello sia quello che ho già percorso, vorrei comunque provare il “cammino di Francesco”, che sembra abbastanza gettonato, ed “assaggiare” tutti e due i percorsi. Se non ce la facessi ad arrivare fino ad Assisi dovrei arrivare quantomeno a Gubbio, che è “solo” 60 km più avanti. Il problema è che a Gubbio non c’è una stazione ferroviaria ed io entro sabato sera vorrei essere a Salerno per due motivi: preferirei non viaggiare in treno di domenica e con le pesti mi è scappata la promessa “papà arriva sabato e non voglio deluderli”. Nella peggiore delle ipotesi, da dove sarò arrivato, ripartirò in bici e sfrutterò la mattina per completare il percorso e raggiungere la stazione più vicina in tempo utile. Farò così, è inutile ora guardare le percorrenze che dà l’app e fare una tabella di marcia al minuto, mi regolerò per strada a seconda di quello che accadrà.

Città di Castello, struscio

Esco dopo aver cenato in albergo: il centro storico è molto grazioso, passeggio da solo ed osservo la folla. Ci sono tante persone in giro, di tutte le età. La cosa mi mette un po’ di malinconia, sebbene abbia scelto di proposito di andare da solo perché ne sentivo la necessità. Di giorno, finché pedalo, la solitudine non mi pesa affatto, osservo la strada, il panorama, controllo i chilometri, i tempi o penso alle cose mie, facendo comunque una cosa che mi piace e mi fa stare bene, mi stanca e mi rilassa allo stesso tempo. La sera, invece, è più pesante. Ad un tavolino in piazza dove mi fermo a bere qualcosa, passo tutto il tempo al cellulare, a postare qualche foto su Facebook, a raccontare ai miei cari quello che ho fatto, a scambiare foto e screenshot di Strava con Vlad ed Andrej che, alla fine, sono in giro in bici anche loro. Mi manca la compagnia dei miei amici, le chiacchiere, i tormentoni, le prese in giro. Anche la birra, bevuta assolutamente dopo aver finito l’ultimo chilometro, ha un sapore più amaro. Sono state due giornate molto belle e con tante cose che voglio raccontare, ma la terza sarà l’ultima.

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Piadina.

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Si lascia la Romagna ed è d'obbligo un ultimo pranzo con la piadina. Vi propongo una ricetta da fare in casa col Bimby, in versione light, per quando non si esce in bici.

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200 ml latte

  50 ml acqua

  50 ml olio EVO

500 g farina 00

  10 g sale

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latte, olio, acqua q' 100° vel.1

aggiungere farina e sale 10'' vel.5 + 30'' spiga

lasciare riposare l'impasto per 10'

formare palline da 100 g

stendere con il mattarello e cuocere in padella antiaderente.

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